Referendum costituzionale: perché no

Le modifiche costituzionali – che poi siano realizzate o meno – dovrebbero far riflettere non solo la classe politica, ma l’intera cittadinanza, su come le stesse abbiano creato più danni che altro. Inserite in un testo – da qualcuno definito “il più bello del mondo”, salvo poi ricredersi – che appare comunque redatto da un personale politico di diversi metri superiore a quello attuale.

L’impressione che si ha è quella di vedere un affresco di Michelangelo corretto da un bambino di quattro anni: con tutta la buona volontà del mondo, il risultato è sempre pessimo.

E così, seguendo una moda italica, per l’ennesima volta anziché curare la malattia si curano i sintomi. Anziché ridurre i costi della politica abbassando gli stipendi e le prebende dei parlamentari e di quella pletora di paraparlamentari che sono divenuti i consiglieri regionali, si punta alla riduzione della rappresentanza. E lo si fa nella maniera peggiore, mescolando pere e mele, cioè raffrontando sistemi tra loro diseguali (USA vs Italia), mentre raffrontando sistemi simili (per esempio, quelli di altri Paesi europei) ci si accorgerebbe che il numero dei parlamentari non appare così pazzesco.

A rendere ancora più grottesca la vicenda, però, è l’annunciata ‘no’ di Italia Viva, l’utilitaria renziana. Proprio loro che poco tempo fa avevano provato a far saltare il banco con una riforma assurdamente pro-esecutivo, contenente peraltro il medesimo taglio della rappresentanza. Ciò lascia perplessi e basiti, ma dopo la discesa in campo in Liguria di un loro candidato autonomo – in una Regione considerata contendibile – possiamo considerare ormai Italia Viva, partito di lotta e di governo, il classico partito di schrodinger, che è sia all’opposizione che in maggioranza.

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