Beppin da Cà, un grande savonese sempre più dimenticato 

“Cose cammin-a a fà? Tanto se nu ghe son mi a festa a nu se fa”. La frase, pronunciata dall’ultimo condannato a morte savonese prima dell’abolizione delle esecuzioni capitali con il Codice Zanardelli, l’uxorixida lavagnolese Giovanni Cerro, detto “u Giabbe”, venne colta dal cronista, scrittore e poeta Beppin da Cà, ossia Giuseppe Cava, che la inserì poi nel libro “Vecchia Savona”, insieme a molte altre storie e vicende accadute tra fine Ottocento ed inizio Novecento. 

La capacità di raccogliere al volo una frase che caratterizza il cinismo dell’omicida mentre si avvia al patibolo, rende grande anche agli occhi dei contemporanei un personaggio come Giuseppe Cava. Divenuto tipografo dopo che un incidente sul lavoro nella fabbrica Tardy e Benech lo rese inabile come operaio, in breve tempo non si accontentò più di stampare libri e giornali per gli altri, ma divenne lui stesso cronista e scrittore, dando vita al periodico “Il marciapiede” e all’inserto satirico in dialetto “O manana”. In prima fila nel movimento operaio savonese, con la svolta autoritaria impressa dal governo Crispi al Paese fu costretto a fuggire all’estero: fermato in Svizzera, fu consegnato alle autorità italiane e trasferito nel carcere di Genova prima di essere essere inviato al confino per un anno e mezzo.

Tornato a Savona, fu tra i fondatori della Camera del Lavoro. Distaccatosi dalla vita politica per alcuni tragici avvenimenti familiari, non riuscì tuttavia a rimanere indifferente all’avvento de fascismo: nel 1938 venne licenziato dalla Biblioteca Civica per alcuni suoi discorsi pubblici contro il regime. Morirà due anni dopo, in povertà.

Nonostante tutto questo, nonostante la capacità di rendere ai posteri parti di storia di questa città, nonostante già in vita fosse un poeta apprezzato da personaggi come Sbarbaro e Barile, oggi di Beppin da Cà non restano che una corta via che separa la Prefettura dal Comando Carabinieri ed un busto marmoreo sotto la Campanassa, quest’ultimo quasi sommerso dalle fronde di un albero che lo rende praticamente invisibile ai passanti. Tuttavia il luogo in cui la scultura è stata posizionata non è casuale, un tempo proprio tra le torri del Brandale, Corsi e Riario sorgeva l’abitazione in cui nacque, nel lontano 1870, il poeta savonese. Oggi di lui i contemporanei non conoscono più nulla, o quasi. È questo il destino che la nostra città riserva ai suoi figli migliori, a quelli che a lei hanno dedicato tutta la loro vita.

 

 

 

1 thoughts on “Beppin da Cà, un grande savonese sempre più dimenticato 

  1. …Beppin da Cà un “nostro” gigante…niente da dire: è grazie a lui che ho desiderato fortemente riappropriarmi del dialetto…quel monumentino da tre palle cento lire non è che esteticamente sia proprio un grande omaggio…probabilmente contribuisce un po’ all’oblio (..che oblio non è..)…

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