Giuseppina Ghersi: una foto falsa per confezionare meglio la storia

di Osvaldo Ambrosini.

In questi giorni il caso Giuseppina Ghersi è letteralmente deflagrato, non soltanto nella piccola Noli (dove si è deciso di dedicarle un cippo) o a Savona, ma addirittura a livello nazionale. Della povera ragazzina che ciclicamente viene brandita dalle destre nel, maldestro, tentativo di riabilitare il fascismo agli occhi della storia sappiamo ormai quasi tutto. Savonese di nascita, abitava alle Fornaci in via Tallone, attuale via Donizetti, scrisse un tema sul fascismo per il quale il Duce in persona gli inviò i complimenti con una lettera, la sua famiglia vendeva frutta e verdura e, sebbene forse non fosse apertamente schierata col fascismo, sicuramente era simpatizzante. Infine, parte fondamentale, lei stessa fu una collaborazionista del regime, attività che costò cara a più di un savonese.

Il tentativo di voler far apparire questo episodio ancor più tragico di quanto non lo fosse già di suo – considerato che la ragazzina pagò con la vita le proprie scelte – è iniziato a partire dagli anni 90, approfittando probabilmente di una certa distanza dai fatti che riducesse per motivi anagrafici la platea dei possibili testimoni e di una memoria non più freschissima, con l’aggiunta di qualche ingrediente alla narrazione certamente non trascurabile.

Le foto che circolano di Giuseppina Ghersi sono principalmente due: una che la ritrae vestita da prima comunione è evidentemente molto precedente ai fatti narrati, nell’immagine avrà infatti circa 8 anni, mentre quando perse la vita ne aveva 13. Nell’altra invece è rappresentata quando venne catturata dai partigiani in quelli che probabilmente furono gli ultimi momenti della sua vita. Pochissime volte invece è stata utilizzata l’unica foto più recente che si ha a disposizione della ragazza, casualmente proprio quella presente sulla sua pietra tombale.

Ebbene la foto manifesto di Giuseppina Ghersi per cui è diventata un’icona delle ultradestre, utilizzate con il chiaro disegno di far apparire le gesta dei partigiani se non peggiori per lo meno uguali a quelle dei criminali nazifascisti, è un falso. E per capirlo non ci vuole certo un esperto in fisiognomica e non è neppure necessario utilizzare software particolari per i riconoscimenti biometrici, la totale difformità tra i volti in questione è apprezzabile ad occhio nudo.

La foto di Giuseppina Ghersi circondata dai partigiani, con il volto non sanguinante ma pitturato e con disegnata la lettera M di Mussolini sulla fronte, appartiene forse ad un episodio del 25 aprile a Milano in cui i partigiani, liberata la città, portarono in giro una collaborazionista, anche lei piuttosto giovane, per una vendetta che si limitò ad una semplice gogna pubblica. Oppure ancora altre fonti assegnano l’immagine ad un episodio avvenuto in Francia in cui una giovane collaborazionista dei tedeschi, una volta catturata,  fece i conti con la popolazione all’indomani del D-Day nel 1944.

Si attendono invece da 72 anni documenti ufficiali o testimonianze certe, che non siano semplici supposizioni di qualche nostalgico, relative all’effettiva violenza sessuale subita dalla giovane prima di essere colpita a morte. Con questo non si vuol certo giustificare la morte violenta inflitta alla ragazza, certo i revisionisti professionisti non avrebbero ricevuto uguale consenso od empatia se si fossero limitati a raccontare l’ingiusta morte di una giovane collaborazionista. Siamo evidentemente di fronte ad un caso abbastanza simile al fantomatico eccidio del Monte Manfrei.

 

 

 

 

 

 

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