di Matteo Lai.
Un ritorno alle origini? L’appoggio che l’ex segretario Pd, Pierluigi Bersani, ha offerto a Raffaella Paita, candidata alla presidenza della Regione Liguria ed un tempo sua supporter, prima di essere folgorata dal renzismo, potrebbe apparire anche questo. Ma purtroppo rischia di essere ben altro.
Dietro alle frasi di rito del tipo “Le battaglie si fanno nel Pd”, “Il partito ha 8 anni, è un bambino” e l’invito a Civati a ritornare sui propri passi, che hanno tanto il sapore dell’autoassoluzione, pare profilarsi una realtà ben più amara. La consapevolezza di rischiare di essere l’unico “rottamato” da parte del Rottamatore Renzi. Il suo successore alla guida del Pd, dopo la discesa in campo con toni battaglieri all’insegna del rinnovamento più sfrenato, ha infatti accolto sotto le sue insegne qualsiasi membro della “vecchia guardia”, salvo coloro che si son fatti spontaneamente da parte.
Non si capisce infatti perché Bersani, critico verso un partito che è sempre più quello dei Marchionne e sempre meno (se mai lo è stato) vicino ai lavoratori, debba sostenere una Paita con cui non ha più nulla da spartire. In campo resta prepotentemente solo l’ipotesi della propria conservazione politica che, però, lascia l’amaro in bocca. L’ex leader Pd avrebbe potuto cavarsi fuori da una “guerra” che chiaramente non è la sua, limitandosi a non presenziare. E invece no. Non solo si è esposto per fedeltà alla ditta, per usare un termine a lui caro, ma ha anche rimbrottato i vari Civati, Pastorino e Cofferati, colpevoli di aver lasciato il Pd.
Caro Bersani, purtroppo questa è l’ora delle scelte. Non si può stare in un partito essendo su posizioni opposte praticamente su tutto, rispetto al gruppo dirigente. Questa non è democrazia ma, ahimè, opportunismo. Il Pd è alla deriva verso destra: chi si prenderà la briga di essere la sinistra?
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