Il ritorno di Sciaboletta

di Matteo Lai.
Le monarchie, si sa, sono indecenti rottami della storia. Prevedono che un uomo (o una donna) si elevi sopra gli altri non già per nessun altro merito, che non sia quello di nascita. Ne resistono ormai poche, per lo più proprio in Europa: oltre a quelle presenti negli Stati da operetta – Lussemburgo, Liechtenstein, Monaco, Vaticano – ne annoveriamo alcune ormai meno che simboliche in Olanda, Belgio, Svezia, Danimarca e Norvegia, oltre che due regni “pesanti” come il Regno Unito e la Spagna, indicata direttamente da Franco come unica forma di Stato possibile, alla sua morte, pur di evitare il ritorno alla Repubblica da lui distrutta.

Anche i cittadini italiani dal 1861 e fino al 1946, hanno potuto fregiarsi del titolo di “sudditi” di Casa Savoia, una delle dinastie più longeve che – oltre ad aver avuto la capacità di mettere il cappello sull’unificazione nazionale (una “causa” sentita a tal punto da Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, da portarlo a non modificare il proprio numero ordinale quale primo re d’Italia) – si è spesso distinta nella repressione delle rivolte delle classi meno abbienti, con particolare ferocia in quei casi in cui i poveri lottavano per il pane (vedasi i moti soffocati nel sangue dei Fasci siciliani, dei minatori sardi e, sicuramente più famosi, dei fatti milanesi del 1898, quando “il feroce monarchico Bava” sparò con i cannoni ad alzo zero contro la folla).
Eppure, nonostante i predecessori non brillassero per lungimiranza, progressismo né umanità, forse il premio del peggior re d’Italia di Casa Savoia andrebbe di diritto a Vittorio Emanuele III. Sovrano che buttò l’Italia nella prima Guerra Mondiale in barba alla volontà parlamentare e che assecondò le barbarie che i vertici militari attuarono in quel conflitto a danno dei propri soldati, che non si oppose alla Marcia su Roma di Mussolini né alle successive scelte liberticide ed autoritarie attuate dal duce, compreso il delitto Matteotti e le successive le “leggi fascistissime”, senza contare l’alleanza con la Germania nazista, le leggi razziali, l’ingresso in guerra a fianco dei tedeschi, fino alla fuga da Roma l’8 settembre – una fuga verso Brindisi, nel sud liberato dagli Alleati, lasciando allo sbando le forze armate al punto di permettere un’invasione incruenta – per i nazisti e solo per loro – regalando un ulteriore biennio di sofferenze alle popolazioni del centro-nord. Una viltà senza fine, culminata nella violazione degli accordi con le forze antifasciste, che prevedevano il congelamento della “questione istituzionale” fino al referendum ed all’elezione dell’assemblea costituente, abdicando ad un mese di quella consultazione a favore del proprio figlio, Umberto.
E’ notizia di questi giorni che la salma di Vittorio Emanuele III è rientrata in Italia, precisamente per essere posta nel Santuario di Vicoforte accanto a quella di sua moglie, la regina Elena, ricostruendo così la coppia che – all’epoca – era conosciuta ironicamente con il nome di Curtatone e Montanara, nome di una battaglia della prima guerra d’indipendenza riadattato alla fisicità dei due sovrani. Un rientro che viene dopo quello dei discendenti ancora viventi, avvenuto nel 2002 (grazie al Governo Berlusconi), eppure lascia uno strascico di polemiche non indifferente, proprio per la trista figura del personaggio e le sue tristi figure, che sicuramente avrebbero meritato una maggiore riflessione prima di permetterne il rientro sul suolo patrio.
A rendere ancora più mesta la vicenda è la richiesta dei nipoti, Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto, di avere un posizionamento più prestigioso per il nonno: addirittura il Pantheon. Non paghi di aver avuto il consenso dalla Presidenza della Repubblica per il rientro delle spoglie mortali di un capo di Stato indegno di tal nome, in un luogo sicuramente defilato ma anche più che decoroso – venne fatto edificare nel Cinquecento da Carlo Emanuele I proprio come mausoleo, pur essendo il duca, finora, l’unico ospite – gli eredi della famiglia Savoia hanno addirittura provato a rialzare la posta, rischiando di far saltare il banco – cosa che sarebbe avvenuta con un presidente meno paziente ed “istituzionale” di Sergio Mattarella.
Resta quindi l’amarezza per il rientro – post mortem – di un re che ben si discostava dal titolo di “altezza reale” (e non solo per motivi fisici), ma soprattutto per la presa di consapevolezza che i signori Savoia, nonostante gli anni del loro dorato esilio, ancora non abbiano preso coscienza delle colpe della loro Real Casa nelle sanguinose vicende italiane della prima metà del Novecento.

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